
Disegno Bellori: copia acquarellata di Francesco Bartoli, conservata fra i Topham Drawings nell’Eton College Library
L'ISOLA DI CALIPSO DEI CAMPI FLEGREI: DALLA GENIALITA' ROMANA AL MITO SOMMERSO
Il fascino dei Campi Flegrei, terra vulcanica intrisa di storia e leggenda, si arricchisce di un nuovo, intrigante capitolo grazie a una singolare scoperta: l'esistenza di un'isola artificiale romana, battezzata con l'evocativo nome di "Calipso". Questa misteriosa isoletta, immortalata in un disegno di Bellori e oggi sprofondata nelle acque antistanti Pozzuoli, al largo di Lucrino, non era un'emanazione naturale della vulcanica regione, bensì una sofisticata opera di ingegneria romana risalente alla prima metà del I secolo d.C.
La sua genesi fu strettamente legata allo sfruttamento di una preziosa risorsa naturale: una sorgente termale sottomarina caratterizzata da temperature eccezionalmente elevate. L'ingegno romano, noto per la sua capacità di plasmare il territorio in funzione delle proprie esigenze, diede vita a una vera e propria piattaforma cementizia sorretta da imponenti piloni gettati in mare. Su questa solida base, si sviluppò un complesso edilizio denso e articolato, come testimonia il dettagliato disegno di Bellori.
Le vestigia grafiche ci restituiscono l'immagine di un luogo vivace e funzionale. Tra le costruzioni si distingue un vasto cortile porticato, fulcro della vita sull'isola, e un imponente edificio rotondo che, pur somigliando a un anfiteatro, era in realtà un ninfeo circolare, richiamando la primitiva sistemazione del celebre Tempio di Mercurio a Baia. Completano il quadro altri edifici di dimensioni minori, un pratico portico affacciato sulla riva e un molo, essenziale per i collegamenti con la terraferma.
La proprietà di questa singolare isola termale è storicamente attribuita a Marco Licinio Crasso Frugi, figura di spicco dell'epoca, che ricoprì la carica di console nel 64 d.C. La sua esistenza non rimase un segreto per gli eruditi dell'epoca, venendo menzionata da autori autorevoli come Plinio il Vecchio e Pausania. Tuttavia, fu grazie allo scrittore Filostrato, vissuto in epoca severiana (II-III secolo d.C.), che giunse fino a noi il suo nome affascinante: "Isola di Calipso".
Questo appellativo non può non evocare l'omonima ninfa omerica, signora della mitica isola di Ogigia, dove Ulisse fu trattenuto per sette lunghi anni. Il richiamo al mito greco, in un contesto così squisitamente romano e legato al benessere termale, suggerisce una possibile lettura simbolica. Forse il nome "Calipso" fu attribuito all'isola per la sua bellezza isolata, per le proprietà rigeneranti delle sue acque calde, capaci di offrire un temporaneo oblio dalle fatiche della vita, proprio come la ninfa offrì riposo e oblio all'eroe greco oppure perché fondata su una secca che a causa di un fenomeno naturale che gli antichi non conoscevano ovvero il bradisismo in fase ascendente emergeva per poi scomparire in periodo discendente .
Oggi, l'isola artificiale di Calipso giace silenziosa negli abissi del Mar Tirreno, un tesoro archeologico sommerso che testimonia l'ingegno costruttivo e la raffinatezza culturale dell'antica Roma. La sua storia, ricostruita grazie alla meticolosa osservazione di un disegno e alle preziose testimonianze letterarie, ci offre uno spaccato inedito sulla capacità dei Romani di interagire con l'ambiente naturale, trasformandolo e sfruttandone le risorse con audacia e creatività.
Mentre l'opera pittorica del 1906 di George Hitchcock raffigura una Calipso eterea e malinconica, prigioniera del suo amore per Ulisse, il particolare del disegno Bellori ci restituisce un'immagine concreta e pulsante dell'isola che portava il suo nome: un'ingegnosa creazione umana, un luogo di benessere e forse di piacere, oggi avvolto dal mistero delle profondità marine, ma vivo nella memoria storica e nel fascino del mito.
La sua esistenza ci ricorda come la storia e la leggenda si intreccino indissolubilmente nel paesaggio unico dei Campi Flegrei, continuando a sorprenderci con le loro inattese rivelazioni.
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